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libro decimottavo- cap. ix 143

camminava, precedendo una giornata il marchese di Saluzzo alle genti viniziane ma con ordine accordato tra il duca e lui che seguitassino per il medesimo cammino. Nondimeno, il settimo dí, il duca, contro all’ordine dato, si dirizzò dallo alloggiamento di Cortona alla volta di Perugia, per arrivare a Todi e poi a Orti, e quivi passato il Tevere unirsi con gli altri. I quali, camminando per il cammino disegnato, sforzorono e saccheggiorono Castello della Pieve, che aveva recusato di alloggiare dentro i svizzeri, con morte di seicento o ottocento uomini di quegli della terra. Per il quale disordine, intenta la gente alla preda, non si condusseno prima che a’ dieci dí al ponte a Cranaiuolo, dove ebbeno avviso della perdita di Roma, e agli undici a Orvieto: dove, per consiglio di Federigo da Bozzole, si spinse il marchese di Saluzzo, egli e Ugo de’ Peppoli, con grossa cavalcata alla volta del Castello; disegnando egli e Ugo andare insino al Castello, e restando il marchese dietro per fare loro spalle; sperando trovare sprovisti gli imperiali e avere, col subito arrivare, occasione di cavare di Castello il pontefice e i cardinali: sapendosi massime i soldati, per la grandezza della preda, posposti gli altri pensieri, non essere intenti ad altro. Ma il disegno riuscí vano, perché a Federigo, non essendo giá molto lontani da Roma, cadde il cavallo addosso, dal quale offeso molto non potette andare piú innanzi; e Ugo presentatosi presso al Castello essendo giá fatto il dí, dove l’ordine era dovessino arrivare di notte, si ritirò: conoscendo, secondo diceva egli, scoperta l’occasione, ma secondo diceva Federigo, temendo piú che non sarebbe stato di bisogno.

Il duca di Urbino intratanto, inteso l’accidente di Roma, ancora che affermasse volere soccorrere con tutte le forze il pontefice, nondimeno, parendogli occasione di levare lo stato di Perugia di mano di Gentile Baglione, mantenutovi con l’autoritá del pontefice, e rimetterlo in arbitrio de’ figliuoli di Giampaolo, accostatosi con le genti de’ viniziani a Perugia, costrinse con minacce Gentile a partirsene; e lasciatavi guardia sotto capi dependenti da Malatesta e da Orazio, de’ quali l’uno