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libro decimottavo- cap. xvi 183


Ma cosí come continuamente si accrescevano le preparazioni alla guerra si accendevano molto piú gli odii tra i príncipi, pigliando qualunque occasione di ingiuriarsi e di contendere, non meno con l’animo e con la emulazione che con l’armi. Perché avendo Cesare, circa due anni innanzi, in Granata, in tempo che similmente si trattava la pace tra il re di Francia e lui, detto al presidente di Granopoli oratore del re di Francia certe parole le quali inferivano che, volentieri, acciò che delle differenze loro non avessino a patire piú i popoli cristiani e tante persone innocenti, le diffinirebbe seco con battaglia singolare, e dipoi replicate all’araldo, quando ultimatamente gli aveva intimata la guerra, le parole medesime, aggiugnendogli di piú, il suo re essersi portato bruttamente a mancargli della fede data, il re di Francia, avendo intese queste parole, e parendogli di non potere senza sua ignominia passarle con silenzio, ancora che la richiesta di Cesare fusse richiesta forse piú degna tra cavalieri che tra tali príncipi, convocati il vigesimo settimo dí di marzo in una grandissima sala del palazzo suo (credo di Parigi) tutti i príncipi tutti gli imbasciadori e tutta la corte, nella quale presentatosi dipoi lui con grandissima pompa di vestimenti ricchissimi e di molto ornata compagnia, e postosi a sedere nella sedia regale, fece chiamare l’oratore di Cesare il quale, perché si era determinato che, condotto a Baiona, fusse liberato nel tempo medesimo che fussino liberati gli imbasciadori de’ confederati, i quali per questo si conducevano a Baiona, dimandava di espedirsi da lui. Parlò il re scusandosi che principalmente Cesare, per avere con esempio nuovo e inumano ritenuto gli imbasciadori suoi e de’ suoi collegati, era stato causa che anche egli fusse ritenuto; ma che dovendo ora andare a Baiona, perché in uno tempo medesimo si facesse la liberazione di tutti, desiderava portasse a Cesare una sua lettera ed esponesse una ambasciata di questo tenore: che avendo Cesare detto allo araldo che egli aveva mancato alla sua fede, aveva detto cosa falsa, e che tante volte mentiva quante volte lo replicava; e che in luogo di risposta, per non tardare la diffinizione