Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. V, 1929 – BEIC 1848561.djvu/43

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libro decimosettimo - cap. vi 37

rimediarvi facilmente, senza tôrre tanta riputazione a quello esercito, con lo alloggiarlo di nuovo con migliore ordine e con discostarlo tanto che bastasse ad assicurarlo da’ sagri piantati dagli inimici. Confermò il duca di nuovo la prima conclusione; né potersi, secondo la ragione della guerra, pigliare altra deliberazione: volere assumere in sé questo carico, e che e’ si sapesse per tutto il mondo egli esserne stato autore: né essere bene consumare piú il tempo vanamente in parole, perché era necessario essersi levati innanzi alla fine della notte. Con la quale conclusione ciascuno, tornato a’ suoi alloggiamenti, attese a espedirsi e a sollecitare la partita delle genti. Delle quali quelle che erano dinanzi si levorono con tanto spavento che, partendosi quasi con dimostrazione di essere rotti, si sfilorono molti fanti e molti cavalli de’ viniziani, de’ quali alcuni non si fermorono insino fussino condotti a Lodi; e l’artiglierie de’ viniziani passorono di lá da Marignano, ma rivocate si fermorono quivi: il resto della gente, e il retroguardo massime, partí ordinato. Né volle Giovanni de’ Medici, che con la fanteria ecclesiastica era nella ultima parte dello esercito, muoversi insino a tanto non fusse bene chiaro il giorno, non gli parendo conveniente riportarne in cambio della sperata vittoria la infamia del fuggirsi di notte: il che fare non essere stato necessario dimostrò l’esperienza, perché degli imperiali non uscí alcuno fuora de’ ripari ad assaltare la coda dello esercito; anzi, avendo, come fu dí, veduto tanto tumultuosa levata, restorono pieni di somma ammirazione, non sapendo immaginarne la cagione. E accrebbe ancora la infamia di questa ritirata che, benché il duca avesse detto volere che le genti si fermassino a San Martino, nondimeno ordinò tacitamente che i maestri del campo de’ viniziani conducessino le loro a Marignano, mosso dal timore o che gli inimici non andassino ad assaltarlo allora in quello alloggiamento, o almeno, come esso medesimo confessò poi, tenendo per certo che il castello di Milano, veduto discostarsi il soccorso dimostrato (di che niuna cosa spaventa piú gli assediati), s’avesse ad arrendere (nel quale caso non arebbe avuto ardire di stare