Pagina:Guicciardini, Francesco – Storie fiorentine dal 1378 al 1509, 1931 – BEIC 1849436.djvu/107

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rallegrassino ognuno, erano nondimeno si pericolosi gli accidenti che andavano atorno, che gli animi non potevono gustare questi piaceri. E certo io credo che giá un grandissimo tempo la cittá non fussi stata in maggiori travagli: drento, cacciata una casa potentissima e che sessant anni aveva avuto el governo, e rimesso tutti gli inimici di quella; per la quale mutazione rimanevano alterati tutti e’ modi del governo, stavano in sommo timore tutti quegli che avevano avuto autoritá a tempo di Lorenzo o di Piero, tutti quegli e’ quali, o e’ maggiori loro, avevano in tempo alcuno offesi gli usciti o e’ sua antecessori, tutti quegli che o per compere o per vie di pagamento o di rapine possedevano de’ beni di chi era stato rubello; di fuori, smembrato tanto stato e quasi la piú parte del nostro dominio, donde si vedeva la cittá avere a restare indebolita, con meno entrate e forze e con una guerra difficiliima e pericolosissima non solo co’ pisani, ma con molti ci impedirebbono la recuperazione. Aggiugnevasi in su e’ nostri terreni un re di Francia con tanto esercito, inimico ed ingiuriato da noi, pieno di cupiditá e crudeltá, el quale dava timore non solo di guastarci el paese nostro, di farci ribellare el resto delle terre suddite, ma edam di saccheggiare la cittá, di rimettere Piero de’ Medici e forse insignorirsi di Firenze; el quale se si partissi, el meno male si potessi temere era avergli a dare una somma grandissima di danari ed a votare la cittá delle sustanzie e sangue suo.