Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/103

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non passerá piú a voi chiaro e felice
quel suon de le dolcissime parole
15 che fúr de l’ardor mio prima radice.

O stanchi piedi miei, giá non vi duole
stancarvi piú, mo’ che v’è tolto il gire
18 ov’è colei ch’esercitar vi suole?

come potete, o passi miei, soffrire
de l’usato cammin vedervi fuora
21 né poter piú l’alta beltá seguire?

Dunque, occhi, orecchie e piedi miei, siate ora
ciechi, sordi ed infermi, or che vi è tolto
24 vederla, udirla e ritrovarla ognora.

Ma tu, cuor mio, che sei da me disciolto
e trovi la dea nostra al primo volo
27 e senza lei non stai poco né molto,

scuoprile il nostro affanno e ’l comun duolo;
so che tu messagger fidato sei ;

30 dille ch’io vivo e ch’io mi pasco solo

di pianger sempre e pensar sempre in lei.

VIII


Simile a morte è la sua vita.

Se io non ho vita in questa morta vita
né viver posso in questa viva morte,
pnrmi ch’ella non sia vita né morte
questa, dove ognor moro e resto in vita;

or, poi ch’ella non è morte né vita,
esser deve in un tratto e vita e morte;
né questo anch’esser può, perché la morte
molto è contraria a Tesser de la vita:

egli è uno stato d’amor, che piú che morte
è duro ed empio, che mi tiene in vita
per farmi ognor provar che cosa è morte;

cosi, lasso! mi vivo senza vita
e mi moro in un punto senza morte
e piú acerba che morte è la mia vita.