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VI
Nella medesima occasione. ( 1527 )
Il non piú udito e gran pubblico danno,
le morti, Tonte e le querele sparte
d’Italia, ch’io pur piango in queste carte,
empieran di pietá quei che verranno.
Quanti, s’io dritto stimo, ancor diranno:
— O nati a’ peggior anni in miglior parte! —
quanti movransi a vendicarne in parte
del barbarico oltraggio e de l’inganno!
Non avrá l’ozio pigro e ’l viver molle
loco in quei saggi ch’anderan col sano
pensier al corso de gli onori eterno;
ch’assai col nostro sangue avemo il folle
error purgato di color che in mano
di si belle contrade hanno il governo.
VII
Nella medesima occasione.
(1527, fine — 1528, principio)
Dal pigro e grave sonno ove sepolta
sei giá tanti anni, ornai sorgi e respira
e disdegnosa le tue piaghe mira,
Italia mia, non men serva che stolta.
La bella libertá, ch’altri t’ha tolta
per tuo non san’oprar, cerca e sospira,
e i passi erranti al camin dritto gira
da quel torto sentier dove sei volta.
Ché se risguardi le memorie antiche,
vedrai che quei che i tuoi trionfi ornáro,
t’han posto il giogo e di catene avvinta.
L’empie tue voglie, a te stessa nemiche,
con gloria d’altri e con tuo duolo amaro,
misera! t’hanno a si vii fine spinta.