Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/144

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egli è cortegian vecchio, ha discrezione
e sa che fan conoscer gli altri e lui
la fucina, il martello e ’l paragone:

ma sol vo lamentarmi e dir di vui,
ché a chi non vuol morir del proprio male
forza è sfogar talvolta i dolor sui.

Ier ch’io vi visitai, vedesti quale
io sentissi dolore e come stei,
vedendo alcune cose senza sale:

allor l’amico, in mezzo i dolor miei,
mi fece uno sberleffo di velluto
che mi fece arrossir dal capo a’ piei.

Confesso ch’io restai confuso e muto;
ma voi, signora, entraste in tante risa,
che rider tanto piú non v’ho veduto.

Rimase l’alma mia perciò conquisa:
ma vi addimando a voi se parvi bello
rider de’ vostri servi a questa guisa;

d’un servo, come me, poi, poverello,
che, se bene ha piú ciance che danari,
pure ha perso per voi quasi il cervello;

d’uno a chi fúr di tanto i cieli avari,
che per vedervi non può il viso alzare,
sendo i vostri occhi a lui piú che ’l sol chiari;

d’un che non vi fa mal né vi può fare,
e, per non scomodarvi ed esser grave,
fa con voi spesso in piè il suo ragionare;

d’un che con voglie risolute e brave
è apparecchiato ognor con un amico
a gettar da la bocca calde bave;

e non è come alcun, che spesso io dico,
eh’in amor sol quel che suol fare stima
e quel c’ ha fatto non apprezza un fico.

Quel che stimar si de’ piú poi che prima
sprezzali, s’ognor non son certi villani
de l’arbore di Giano su la cima;

né sanno che ben spesso, i poco umani,
non s’ha da cena ancor ne l’osterie,
e forza è di cenar coi guanti in mani.