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XCVIII
Nell’avvelenamento del cardinale Ippolito de’ Medici. (* 535 )
Di quel sugo letal ch’a morte spinse
chi l’Indo e’l Perso con vittoria scórse,
perfida mano al gran Medici porse,
e due gran lumi un liquor breve estinse.
E se la terra Ippolito non vinse,
con Alessandro di splendor concorse,
e l’avrebbe agguagliato in arme forse,
ma ’l sacro bisso a lui la spada scinse.
Cosi, rimaso un’altra volta il mondo
senza il suo sole, ha rinnovato il pianto,
e si mostra ogni loco oscuro e tetro ;
commosso è l’Arno e ’l Tebro insino al fondo;
questo di Pietro gli serbava il manto,
quel di Porsena il bel toscano scetro.
XCIX
Dopo l’assassinio del duca Alessandro de’ Medici.
(* 537 )
L’orribil caso onde si scosse il giglio
e fermò l’Arno sbigottito il corso,
quando un sol ferro, in troppo ardir trascorso,
vide nel sangue del signor vermiglio;
e come poi del nostro Marte il figlio,
il fier Vitello e la Colonna e l’Orso,
perché Marzocco non rompesse il morso,
a le redini dièr tosto di piglio,
e con qual arte consegnarle in mano
di Cosmo altier, che a le seconde nozze
giá s’apparecchia, se ’l pensier non falle;
e qual sia degli usciti il furor vano,
come Filippo tal calice strozze,
Giulio, soma non è da le mie spalle.