Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/258

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CLXXXI

Didone si trafigge. Da Virgilio, Eneide , iv.

— Dolci, mentre ’l ciel volse, amate spoglie,
prendete ornai queste reliquie estreme
de la mia vita e disciogliete insieme
l’alma dal petto e l’amorose doglie.

Vissi regina, al gran Sicheo fui moglie;
l’alte mura fondai che Libia teme;
vidi d’effetto e non di pena sceme
de l’avaro fratei l’inique voglie.

Felice, oimè! troppo felice, s’io
vietava il porto a quel troiano infido,
la cui salute ogni mio ben sommerse !

Or si sazi ’l crudel del sangue mio. —

Cosi dicendo, l’infelice Dido
l’amata spada in se stessa converse.

CLXXXII


Il sepolcro di Enea.
Dall’epitaffio di Ausonio per Niobe.

— Dido, chi giace entro quest’urna? — Un’urna. —
Dissi chi sta sotto quel sasso. — Un sasso. —

Io chieggio quel che in sé tien l’urna. — L’urna. —
Questo no; ma che chiuda il sasso. — Il sasso. —
Dunque dentro e di fuor è sasso ed urna? —

Sasso ed urna è di fuor, dentro urna e sasso:
sappi che ’l fiero Enea serra quest’urna,
ch’uomo non fu, ma per me sasso ed urna.