Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/265

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15
Se nel combatter stai duro e perverso,
ritorniam pur in quel medesmo lato
e ripon ivi l’inimico avverso
e le tue piaghe e ’l tuo timor usato,
ed umil, per aiuto, a me converso,
dal forte scudo mio resta guardato,
e poscia sotto quel meco contendi,
se pur la pugna desioso attendi.
16
Ettor vien fuora, e gli dèi seco in campo,
ed ogni squadra col suo brando atterra;
né pur si sbigottisce del suo lampo
Dulichio sol, ma i piú famosi in guerra.
Costui, menando di vittoria vampo,
col grave sasso rovesciai per terra;
costui sostenni a singoiar tenzone
né vinto fui da cosi gran campione.
17
Ecco i troiani il ferro e ’l fuoco e Giove
portan per fare ai nostri legni offesa.

Dove era allor questo facondo? dove,
quand’era giá la nostr’armata accesa?
e, quando fu tra le nimiche prove
a mille navi ’l mio petto difesa,
speme del tornar vostro? E giusto parme
aver da voi per tante navi un’arme.
18
Con queste prove di Laerte il seme
ponga Eleno, Dolon, Reso e Minerva:
nulla apparisce al giorno; il tutto preme
l’oscura notte ed a la frode serva;
e seco ha sempre Diomede insieme:
onde, s’a merto cosi vii si serva,
per l’arbitrio di voi, si nobil pegno,

Diomede ne fia piú di lui degno.