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ché certo li miei affanni
non tenerei si gravi e le mie cose
120 non sarebbon dai topi tutte róse.
Io non potrei pensar, non che ridire
quanto sia grave e smisurato il danno
che questi ognor mi fanno:
senza licenza e senza alcun rispetto
125 dove piú ben lor mette, di lá vanno;
cotale è lo sfrenato loro ardire,
che in sul buon del dormire
(o Dio, che crudeltá!) per tutto il letto
vanno giostrando a mio marcio dispetto.
130 Sannoi l’orecchie e il naso mio che spesso
son morsi; tal che adesso
mi conviene allacciar sera per sera
l’elmetto e la visiera,
essendone colei portata via
135 che tutti li faceva stare al quia.
Portata via non giá da mortai mano,
perché, dov’ella fosse qua tra noi,
a me ch’era un de’ suoi,
saria tornata in tutti quanti i modi;
140 ma tu, Giove, fra gli altri furti tuoi,
nel ciel, de le tue prede giá profano,
con qualch’ inganno strano
l’hai su rapita e lieto te la godi.
Deh, come ben si veggion le tue frodi,
145 ch’occultar non la puoi sotto alcun velo;
perché si vede in cielo
due stelle nove e piú de l’altre ardenti,
che son gli occhi lucenti
de la mia gatta, tant’onesta e bella,
150 che avanza il sol, la luna e ogni altra stella.
Canzon, lo spirto è pronto e ’l corpo infermo;
ond’io qui taccio; e s’alcun è che voglia
intender la mia doglia,
digli : — Ella è tal che mi fa in pianto e in lutto
155 viver mai sempre e in tutto
divenir selva d’aspri pensier folta,
poi che la gatta mia m’è stata tolta.