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V
RIME SACRE
CCXI
Dal salmo trentesimosettimo.
Benché sia grave e rio
il mio perverso errore,
benché io non sia d’eterno esilio indegno,
Padre benigno e pio,
il tuo giusto furore
non s’áccenda ver’ me con tanto sdegno.
Tu l’arco tiri, e ’l segno
è’l mio penoso fianco;
cosi da strali afflitto,
quasi cervo trafitto,
dovunque volgo il core e M piede stanco,
colmo d’alto spavento
la tua grande ira e ’l mio gran fallo sento.
Signor, se gli occhi volgo
a la tua irata faccia,
sento Possa tremar, gelare’l sangue;
e, se a me gli rivolgo,
coscienza minaccia,
e ne rimane ’l cor freddo, ed esangue
per le mie colpe langue,
sotto il cui peso molto
non può durar la vita;
e l’antica ferita
che salda parve al mio pensiero stolto
s’apri di fuori e dentro
sangue putrido mostra insino al centro.
Col viso a terra chino
e di dolore sparso
meno la vita e i miei di tristi e negri.
perché, a morte vicino,
di un vii disio son arso,
onde perdei tutti i miei beni integri;
però languidi ed egri
sono rimasi i sensi