Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/48

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LXVI

Per lei ha in terra estasi di paradiso.

Questo che gli occhi abbaglia e l’alma accende,
se cosi dir conviensi, angelo umano,
col lampeggiar del riso umile e piano
sovra la fuga del mio duolo intende ;

col seren poi degli occhi, ov’Ainor tende
d’or in or l’arco e mai non tira invano,
purga il mio cor d’ogni desio non sano
e pur mi raddolcisce ove piú splende.

Ma quel che penetrò fu la divina
sua voce e ’l soavissimo concento
che fa de l’alme altrui dolce rapina.

Se voci umane son queste ch’io sento,
che paradiso in terra mi destina
Amor, che pace eterna e che contento?

LXV1I

Infinitamente dolce il suo amore.

Dolce è ’l legame, Amor, ch’ordito m’hai,
perch’ella il tessa ed io l’annodi e stringa,
dolc’è ’l fuoco, entro a cui Pietá lusinga
il core e ’l suo martir vince d’assai.

Forza di tempo o di fortuna mai
del bel viso c’ho in sen non mi discinga;
non figuri la mente e non dipinga
piú vago obietto e piú lucenti rai.

Spira ’l bel giglio paci, il riso onori,
e i dolcissimi folgori degli occhi
portan faville di celesti ardori.

Beato Amor, eh’ indi giammai non scocchi
gli strali a vóto, e piú beati i cori
che per alto destin son da lor tocchi!