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e gli altri frati dell’ordine, con chi è buono. Facendo «è» verbo ed intendendo «fore» come preposizione, si ottiene quest’altro senso: «A chi è buono non piace ciò che non è buono, né c’è per lui propriamente alcunché di buono al di fuori del gustare il buono, e questo è anche certo per noi».

v. 44. Altra singolare costruzione: I santi odiarono il piacere carnale e mondano.

v. 51. «ho». Il Val. emenda «è» e stampa: «E non vizio, ma virtú, è gaudio assai». La divisione «no ’n» non richiede di variare la lezione del ms. ed è consigliata anche dall’«in vizio» del verso seguente. Potrebbe anche ammettersi, ma non è indispensabile, l’emendamento: «ma ’n vertu».

v. 55 seg. M’allontano dal Val. e intendo: secondo quello che il saggio Aristotile dice e mostra che l’uomo è felice operando virtú. Colui che ha in sé pienezza di gaudio, non ha in pregio né il male né il bene terreno, ma colui la cui mente non prova gaudio dentro di sé, fugge verso i piccoli e vani diletti del corpo. Per la citaz. di Arist. cfr. Pellizz., p. 253.

v. 61. Cfr. Matth. XI, 30.

v. 63. Cfr. Eccles. XXI, 11.

v. 66. Intendo: e quando a noi sembra altrimenti, che altro è fuori che il nostro cuore è divenuto malato, ignorante, snaturato, fuorviato da viziata usanza, la quale ha sempre fatto e fa sembrar cibo il veleno e fa sembrar viceversa velenosa la triaca, cioè l’antidoto del veleno, nella quale sta il bene?

XXXI. v. 7. Intendo: in quanto essi ci allontanano da Amore e ci fanno da lui disprezzare.

v. 12: «vis’ ha», cioè: ha intelligenza.

v. 23. Cioè: tutti i libri son sue carte, son suoi documenti.

v. 51 seg. La punteggiatura adottata dá al passo il senso seguente: E se l’uomo prese le mosse, ebbe inizio da un altro uomo e la fiera da un’altra fiera, da chi l’ebbe il cielo, nel quale è ordine e tale bellezza e tanto valore?

v. 61: «unde cos’è onne», cioè: da cui è ogni cosa, v. 66: «ad un», cioè: concordemente.

v. 85. Intendo: [ma che esse] son quasi nulla, cioè non valgon quasi punto ad appagare il cuore dell’uomo.

v. 89 seg. Cioè: e il bene che in esso è limitato di grandezza, lo è pure sovente di tempo. Accogliendo la lez. di B: «eper»,