Pagina:Hypnerotomachia Poliphili.djvu/420

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sfortunato Iphi ad vedere non mi achadesse. Quasi dal proposito me ritraheva, ma vincta et prostrata dagli caechi et novelli stimuli, et dallo obstinato amore compulsa, non hebbe forcia qualunche accedente spavento, immo per lo incremento d’amore spreto all’improbitate dil mio infiammato disio Peletronio, et cusì profundamente vulnerata, sola immediate solicitante gli incitati passi di accelerare alla sacrata Basilica perveni. Nella quale poscia che io cum summa aviditate fui intrata, non come mi fue la pristina assuetudine alle sancte Are religiosamente di praesentarme, ma sencia altro dire, né fare, al loco ove scelerata Vespilona, tracto havea Poliphilo andai. Et quivi cum lachrymoso volto, io lo trovai, cum le constricte gene, veramente iacente morto, più che uno duro marmoro freddo et congelefacto, et cusì era stato la transacta nocte exangue lurato et pallido, diqué da timore et pietate expallui. A questo passo Celeberrime Nymphe amaramente afflicta, merente et dolorosa gli ochii di lachrymosa miseritudine, abondantemente se impirono, et dirottamente io piansi gli mei summissi lamenti syncopando cum tubanti suspiri, desiderosa a tale conditione essere consorte. Et quale la sconsolata Laodomia moribonda sopra il morto Prothesilao occubantise, me prostrai et io sopra il gelato corpo, et strictissimamente amplexantilo, io dissi. O crudelissima, terriculosa, et immatura morte, di omni bene edace, et di omni tristitudine truncamento inevitabile, non pigriscente voli induciare al praesente di unire me cum questo. Il quale per me (di tutte le donne dil mundo impiissima, et di importuna impudentia malefica) è innocente et insonte migrato da questa optabile luce. Questo che me excessivamente amava, sola suo singular et destinato bene reputava. O me iniqua et fera, fora omni altra saevitudine immitissima, maligna et rea, più che la crudelissima Phedra contra lo innocente Hippolyto. Chi hora denega darmi l’ultimo interito di questa turbulentissima et odiosa vita? O biastemato primo lume che algli ochii mei gratioso apparse. O maledicte aure vitale, perché durate tantule? O odioso spirito nel praesente obfrenato, perché modo non trovi exito et apertione, perché non voglio né posso duritare, né subsistere in questa molesta et tristula vita, o maledicti ochii che vivo questo videre non volevi, mello facte al praesente extincto respectare. O tremendi fulguri dil alto Iove, per gli quali il coelo et la terra contremiscono, ove permaneti extincti? di non me incarbunculare et in pulvisculo cinere emerita, et condignamente redigere? O infoelice dì che mai alla bucca mia la tata nutribonda mi fue ammota. O nefasta hora del mio exito uterale. O Lucina Invocata opigena alhora, perché abortiva non