Pagina:Hypnerotomachia Poliphili.djvu/440

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intruso omni mio bene. Questa decentemente reverisco, et essa sopra tutte honorifico et colo. Né più né meno che gli Atheniensi la sua Pallade. Et gli Thebani il piacevole Baccho. Et gli Indi Dionysio. Gli Romani Libero. Et gli Arabici Adone. Gli Ephesi Diana. Et gli Paphi la sanctissima Venere. Et dagli Tyrii Hercule. Et dagli Aricini la fascelide Diana. Et questa indefesso sequito. Quale Helitropia Clymene in fiore mutata vertibile gyrasse sectaria l’aspecto del suo amato Phoebo. Et cusì io cum amorosa secta suo voglio essere. Sempre cum questo medesimo stato della mente né per terriculamento, né per oblectamento mai pulsabondo. Ma cum affectuosa perfunctione, ad gli sui voti humillimo voglio succumbere. Como la timida perdice nelle unguicose branchie della rapace Aquila. Né altra imagine, né simulachro, né delubro nel intimo del mio core affixibile né dipincto, né exculpto io tengo. Et per costei spero ristorarme, et amorosamente vivere leto, existimandomi magiore decoramento, che agli regi la Diadema, il Paludamento agli Imperatori, agli Pontifici il Galero, et il Lituo agli Auguri. Et Polia dominante Poliphilo, questa sarae la mia laude, gloria, honorificentia, et sublimitate, offerentime nella sua amorosa deditione, cusì victo, et cusì prosternato. Sperando unanimi di permeare agli triumphali regni et al delectevole stato della Divina Cytherea. Stante dunque variamente rapto, dementato, et absorto, in questi fincti tanto delitiosi cogitati et pensiculamenti, et fruitione di tale imagine di hora in hora, et di puncto in puncto gli adventicii et caechi vulneri nella consentiente alma gliscenti se foecondavano, et ricevuta, et di me usurpata del tutto Cupidine la iurisditione, Tyrannide, et licente potere. Ad tutto tale mysterio affectuoso. Questo solo summamente desiderava. O me potess’io aprirgli et discoprirli l’animo mio et indicare gli mei intrinsichi disii. Cum il Socratico affecto, di fenestrare il pecto, et di monstrarli la percussura dell’amorosa plaga, et lo immoderato amore, che io li porto, et dirgli del mio premente laqueo, et della urgente fiamma, per la quale liquato il core se strugie, et monstrarli la dissipatione della amorosa vita. Et dirli cum pietose et mite parole, et gemebondi lamenti. Et lo ultrario, che cum amarla io sustengo. Et cusì cum la mente erratica, discola, avia, et vaga, di intemperato ardore supremamente languiva, et quando suspirante, et quando leto, hora placido, quieto, et tranquillo, tal hora indignato sencia sperancia haesitante, et discontento. Quel dieculo Sacrato et celebre, cum questi permixti et inversi accessorii consumai brevissimo per più che uno atomo di tempo extimato, et più che instante momento.