Pagina:I Cairoli delle Marche - La famiglia Cattabeni.djvu/28

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Al Governo poi che trovavasi in grave imbarazzo per le accuse che gli venivano dalle corti di Vienna e di Francia di connivenza nella progettata spedizione detta di Sarnico, non parve vero profittare del coinvolgimento del povero Cattabeni nel processo pel furto Parodi, per iscagionarsi e allontanar da sé i sospetti, cogliendo altresì il destro per iscreditar l’impresa e perseguitarne impunemente i seguaci.

Difatti come racconta il Guerzoni (Garibaldi, Vol. II, pag. 290)

    seguito alla scoperta di arruolamenti clandestini che si stavano ordinando in Genova. L’essere stato il Cattabeni segretario di Mazzini (sic) farebbe supporre il tentativo e l’idea di una spedizione provengano dal partito mazziniano.» Nel n. 150 poi (2 giugno) si legge: «Riportiamo con tutta riserva i seguenti particolari che il Monitore dell’armata reca sugli arrestati del furto Parodi, ragguagli che la Costituzione dice accordare colle sue particolari informazioni: Pare che in seguito alle risultanze del processo scritto a carico degli imputati del furto Parodi, dalle quali emersero gravi sospetti di connivenza sul conto del colonnello Cattabeni, l’autorità inquirente abbia potuto credere che il famoso furto stato perpetrato con tanta maestria, non possa essere estraneo alla spedizione nel Tirolo. Infatti le dichiarazioni del derubato e suoi commessi hanno constatato che i ladri, perpetrato il furto, ebbro a dire che ciò avevano fatto pel miglior bene della patria. L’Amor di patria era infatti noleggiato dal colonnello Cattabeni — ed il Ceneri cercò subito di gettare in mare il passaporto del Cattabeni che si trovava in sue mani. Non sarebbe dunque improbabile che il partito mazziniano che organizzò la spedizione e che ha per sacro il regicidio pel bene della patria, avesse pure perpetrato un furto politico per procurarsi i mezzi per mandare ad effetto i suoi pazzi tentativi. Crediamo sapere che l’istruttoria lavori su questo terreno.» Ma prescindendo dalle malignità partigiane dei giornali, tre erano gli indizi su cui si fondava l’accusa di complicità contro il Cattabeni: 1. il primo contratto del Cattabeni trovato fra le carte del Tarabotto, capitano della nave; 2. il passaporto del Cattabeni posseduto dal Ceneri e che questi nel momento dell’arresto invano tentò di gettare premurosamente in mare; 3. la dichiarazione degli arrestati all’autorità inquirente che il furto fosse stato ordinato e sorvegliato da un tale che conoscevano sotto l’appellativo di colonnello. Invano il povero colonnello Cattabeni cercava scagionarsi dicendo il passaporto essergli stato rubato e la nave essere stata da lui in precedenza noleggiata d’intesa col Garibaldi, e di nulla sapere del furto; chi era allora quel colonnello che i ladri adducevano come organizzatore del furto in parola? Per buona sorte del Cattabeni anche questo tale colonnello si riuscì a scovare e a identificare: era un tale Bassano, già caporale nei Cacciatori delle Alpi, e per celia soprannominato dai compagni il colonnello! A questo sciagurato, che placò poi il rimorso e l’avvilimento, uccidendosi nella prigione, deve con tutta probabilità attribuirsi il furto del passaporto al Cattabeni, con cui in quel tempo trovavasi in rapporti, essendosi egli presentato ed essendo stato accettato come caposquadra per la progettata spedizione del Tirolo!