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me stesso e degli amici, la smentita ho dovuto stampargliela sul muso.
«Pareva — nevvero? — che la lezione potesse bastare. Gnornò! lo scorso dicembre, nei giorni della crisi avendomi il presidente di Rudinì fatto l’onore di pregarmi per iscritto di un colloquio al quale acconsentii e i giornali avendone parlato, la Gazzetta di Venezia si fa mandare un telegramma specialissimo, in caratteri distinti, da Roma, per annunziare ai suoi lettori che la cosa era tutt’altra, che cioè io avevo domandato una udienza e che il presidente del Consiglio si era visto, poveretto, nella impossibilità di rifiutarmela!!
«Il buffonesco telegramma (e dico buffonesco, per tutti quelli che mi conoscono e sanno se io sono tipo da chieder udienze a chi non mi cerca e dar consigli a chi non me ne chiede) mi venne sott’occhi per caso molti giorni dopo: allora, non francando neanche la spesa di una smentita, e trovandomi di buon umore, mi limitai ad avvertire, per cartolina, il direttore che nelle bugie su di me non ne aveva proprio la mano felice: che per quest’altra volta glie la passavo, per non comprometterlo coi lettori suoi; ma badasse a non incappare in una terza. Credete che il mònito lo abbia guarito? neanche per sogno!
«Ecco, càpita l’adunanza della giunta parlamentare incaricata di riferire sulla domanda di autorizzazione a procedere contro di me.
«E subito la Gazzetta ad annunziare testualmente, per dispaccio telegrafico da Roma, in prima pagina ed in posto distinto:
«Il deputato Cavallotti volle intervenire alla seduta della Commissione, benchè non invitato, per dare spiegazioni sugli articoli incriminati.
«L’on. Bonacci che fa parte della Commissione, non consentì alla pretesa del Cavallotti, essendo estraneo alla funzione della Commissione il discutere in merito della domanda.
«E il deputato Cavallotti dovette ritirarsi senz’altro. Dopodichè la Commissione all’unanimità deliberò di proporre l’autorizzazione.»