Pagina:I Malavoglia.djvu/213

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picchiava i pugni sui barili, dicendo ai nipoti: — Qui c’è la vostra casa e la dote di Mena. «La casa ti abbraccia e ti bacia». San Francesco mi ha fatto la grazia di lasciarmi chiudere gli occhi contento.

Nello stesso tempo avevano fatte tutte le provviste per l’inverno, il grano, le fave, l’olio; e avevano data la caparra a massaro Filippo per quel po’ di vino della domenica.

Ora erano tranquilli; suocero e nuora tornavano a contare i danari nella calza, i barilotti schierati nel cortile, e facevano i loro calcoli onde vedere quello che ci mancasse ancora per la casa. La Maruzza conosceva quei denari soldo per soldo, quelli delle arancie e delle uova, quelli che aveva portati Alessi dalla ferrovia, quelli che Mena s’era guadagnati col telaio, e diceva: — Ce n’è di tutti. — Non ve l’avevo detto che per menare il remo bisogna che le cinque dita della mano si aiutino l’un l’altro? — rispondeva padron ’Ntoni. — Oramai pochi ce ne mancano. — E allora si mettevano in un cantuccio a confabulare colla Longa, e guardavano Sant’Agata, la quale se lo meritava, poveretta, che parlassero di lei «perchè non aveva nè bocca nè volontà» e badava a lavorare, cantando fra di sè come fanno gli uccelli nel nido prima di giorno; e soltanto quando udiva passare i carri, la sera, pensava al carro di compare Alfio Mosca, che andava pel mondo, chi sa dove; e allora smetteva di cantare.

Per tutto il paese non si vedeva altro che della gente colle reti in collo, e donne sedute sulla soglia a pestare i mattoni; e davanti a ogni porta c’era una