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tare mentre stava al telaio, o aiutava a salare le acciughe, nelle belle sere d’estate. Stavolta san Francesco l’aveva proprio mandata la provvidenza. C’era stata una passata di acciughe come mai se n’erano viste; una ricchezza per tutto il paese; le barche tornavano cariche, colla gente che cantava e sventolava i berretti da lontano, per far segno alle donne che aspettavano coi bambini in collo.
I rigattieri venivano in folla dalla città, a piedi, a cavallo, sui carri, e Piedipapera non aveva tempo di grattarsi il capo. Verso l’avemaria sulla riva c’era una fiera addirittura, e grida e schiamazzi d’ogni genere. Nel cortile dei Malavoglia il lume stava acceso sino a mezzanotte, che pareva una festa. Le ragazze cantavano, e venivano anche le vicine ad aiutare, le figlie della cugina Anna e la Nunziata, perchè c’era da guadagnare per tutti, e lungo il muro si vedevano quattro file di barilotti già belli e preparati, coi sassi di sopra.
— Adesso vorrei qui la Zuppidda! — esclamava ’Ntoni, seduto sui sassi a far peso anche lui, colle mani sotto le ascelle. — Adesso lo vedrebbe che abbiamo il fatto nostro anche noi, e ce ne infischiamo di don Michele e di don Silvestro!
I rigattieri correvano dietro a padron ’Ntoni coi denari in mano. Piedipapera lo tirava per la manica dicendogli: — Questo è il tempo d’approfittare. Ma padron ’Ntoni teneva duro a rispondere: — Ne parleremo ad Ognissanti; allora le acciughe avranno il loro prezzo. No, non voglio caparra, non voglio legarmi le mani! So io come vanno le cose. — E