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Le tracce di un’antica colonia 115

due scimmie e agli orsi, poi si coricarono su un soffice e fresco strato di foglie, senza prendersi la cura di montare la guardia, sapendo che il mias non avrebbe lasciato avvicinarsi alcuno.

Ai primi albori, dopo una parca colazione, il signor Albani ed Enrico si mettevano in cammino per esplorare quella parte della foresta, mentre il mozzo rimaneva a guardia dei due orsi in compagnia dello Sciancatello e delle scimmie. Di passo in passo che si avanzavano lungo il margine della foresta, incontravano tracce sempre evidenti di coltivazione. Si vedevano dei solchi, ma appena tracciati, distrutti probabilmente dalle piogge o dalle invasioni dei vegetali; dei tronchi atterrati ma ormai infraciditi ed ora ricettacolo di migliaia d’insetti; poi delle buche profonde, forse delle antiche trappole per gli animali della foresta, e anche molti grossi rami nettamente tagliati e accatastati con un certo ordine, come se fossero stati messi a seccare.

Forse su quei tratti sgombri, un tempo molte piante utilissime erano cresciute, ma i rotangs e le male erbe le avevano senza dubbio soffocate dopo l’abbandono dei coloni, crescendovi accanto o distendendovisi sopra.

Il signor Albani osservava tutto attentamente sperando di scoprire altre piante, ma invano. A un tratto però, in mezzo a un caos di alte graminacee, di piante arrampicanti e di radici enormi, il suo sguardo acuto scoprì dei ciuffi di foglie scannellate, armate di piccole spine nerastre, verdi sopra e bianchiccie di sotto, sostenenti nel mezzo delle frutta ovali, lunghe quindici o sedici pollici e con un diametro di dieci, d’un bel colore giallo dorato.

— Degli ananassi! — esclamò, inoltrandosi e scostando le radici e le erbe.

— Deliziosi! — esclamò il marinaio, che altre volte ne aveva assaggiati. — Mi piacciono assai, signor Albani. Che siano nati da loro?...

— Sì, ma importati dai misteriosi coloni che dissodarono queste terre. Saranno diventati selvatici, ma trapiantandoli