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120 Capitolo diciottesimo

Il veneziano, senza badare al tremendo pericolo a cui si esponeva, si precipitò innanzi. Aveva riconosciuto in quel rettile, il terribile serpente dagli occhiali, il cui morso ben di rado perdona.

Il mostro, vedendo quel nuovo nemico, aveva lasciato il marinaio e si era rizzato sulle sue anella dilatando enormemente la sua gola, potendo, a volontà, aprire le sue due prime costole.

Pronto come il lampo Albani tese il braccio e con un sol colpo lo decapitò, poi, balzando sopra il corpo che si contorceva rabbiosamente, ricevette fra le braccia il marinaio. Senza perdere un istante, lo adagiò su un cumulo di foglie secche, gli rimboccò i calzoni mettendo a nudo il polpaccio, lacerò un fazzoletto, l’unico che possedeva, e legò strettamente la gamba. Ciò fatto, senza pensare che poteva avvelenarsi, applicò le labbra alla ferita, nel luogo ove si scorgevano due leggieri puntini sanguinosi e aspirò fortemente, sputando a più riprese.

Il marinaio, semi-svenuto, pareva non vedesse nulla. Pallido come un cadavere, coi lineamenti alterati, gli occhi vitrei, la fronte coperta di sudore che doveva essere freddo, respirava affannosamente, con grande stento.

Il signor Albani non era meno pallido del marinaio, nè meno alterato. Anche la sua fronte era bagnata d’un sudore freddo, ma operava senza perdere un istante. Non ignorava le terribili proprietà del veleno del serpente dagli occhiali, chiamato anche cobra-capello; sapeva che, iniettato in certa quantità, produce la morte in meno di un quarto d’ora.

Egli tentava tutte le risorse suggeritegli dall’esperienza, ma aveva ben poca fiducia di riuscire a salvare il disgraziato compagno. Solo un miracolo poteva strapparlo alla morte.

Succhiata la ferita, gesto eroico ma pericolosissimo, poichè poteva bastare una ferita impercettibile alle labbra o alle gengive per avvelenare il generoso uomo, impugnato il coltello aveva fatto sul polpaccio morsicato una profonda incisione in forma di croce.