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144 Capitolo ventiduesimo

Mezz’ora dopo giungevano dinanzi alla caverna, la cui entrata era stata ormai interamente coperta dalle piante arrampicanti.

Procedendo con precauzione, per timore di trovare qualche altro cobra-capello, spostarono la cortina vegetale e s’inoltrarono nel corridoio con una candela accesa. Giunti nella prima caverna, il mozzo che li precedeva, s’arrestò bruscamente esclamando:

— Mille bombarde!... Degli scorpioni!... Alziamo i tacchi!

— Al diavolo le bestie velenose!... — urlò il marinaio, girando velocemente sui talloni. —

Il signor Albani aveva fatto qualche passo indietro, temendo di trovarsi dinanzi a dei veri scorpioni velenosi, ma abbassata la candela che portava, vide invece un centinaio di animaletti neri, assai più piccoli degli scorpioni ma che pure si raddrizzavano agitando minacciosamente le loro zampette anteriori.

— Ehi!... Marinaio!... Piccolo Tonno! — gridò.

— Fuggite, signore, — risposero Enrico ed il mozzo, che si trovavano già fuori.

— Ma no, amici miei, non sono scorpioni e non vi è alcun pericolo. —

I due marinai, sapendo per prova che Albani non s’ingannava mai, rientrarono, ma con una certa prudenza.

— Non sono adunque scorpioni? — chiese Enrico, arrestandosi all’estremità della galleria.

— No, amico mio. Sono insetti inoffensivi, somiglianti agli stafilini delle nostre campagne.

— Ma ho veduto che si alzavano, assumendo le forme paurose degli scorpioni.

— È il loro modo per spaventare.

— Ma che siano proprio così furbi gl’insetti, signore? — chiese il marinaio, stupito.

— Tutti hanno le loro furberie per difendersi.

— Io non l’avrei mai creduto.