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Il varo della «Roma» 177

picello si avvantaggiava molto, poichè le patate dolci, le cipolle e i grossi tuberi crescevano a vista d’occhio.

I nostri Robinson non potevano però abbandonare la capanna aerea, ma non rimanevano inoperosi e trovavano il modo d’occupare il loro tempo.

Avevano costruito un fornello d’argilla che avevano collocato nell’interno della casa e seduti dinanzi al fuoco, accomodavano le loro vesti già molto sdrucite in quelle frequenti corse in mezzo ai boschi o si cucivano delle nuove giacche colle vele che ancora possedevano, o il signor Albani dava lezione di scrittura ai due marinai, i quali facevano progressi straordinarii, quantunque dapprima si fossero mostrati molto restii, non avendo mai stretto fra le dita una penna.

Sembrerà strano che fossero provvisti perfino di carta, d’inchiostro e di penne, pure Albani non si era mostrato molto imbarazzato a trovare tutto ciò in quell’isola deserta.

La foresta, ancora la foresta, gli aveva somministrato tutto.

Per ottenere la carta era ricorso ai gluga (Broussonetica papyrifera) chiamati dai giavanesi e dai malesi daluwang, perchè ne ricavano la carta conosciuta con tale nome.

Per ottenerla, il signor Albani aveva scelto alcune piante adulte, ne aveva staccato la corteccia e l’aveva lasciata macerare, dopo averla tagliata in pezzetti quadrati. Dopo alcuni giorni l’aveva levata, quindi battuta con una specie di spatola di legno, riunendola in fogli più o meno grandi, i quali asciugandosi avevano poi preso la voluta consistenza.

Avrebbe dovuto immergerla in una soluzione di acqua di riso per renderla più levigata, ma non avendone, si era accontentato di bagnarla in una colla assai diluita di fecola di sagù, ottenendo eguale successo.

Con questo processo molto semplice, usato da secoli da tutti i popoli della Malesia, aveva ottenuto un centinaio di fogli di carta abbastanza buona, sulla quale si esercitavano i due marinai.