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212 | Capitolo trentesimo |
— Enrico! — disse Marino, con dolore.
— Sì, per salvare voi, — ripete il genovese, con voce rauca. — Senza di voi, non avremmo intrapreso questo viaggio fatale.
— È vero, — mormorò il maltese. — Hai ragione di incolparmi, ma io troverò il signor Albani o il mare m’inghiottirà.
— Ti dico che è morto.
— Troverò almeno il suo cadavere. —
Si era alzato e stava per scendere lo scoglio, quando fra gli urli della bufera gli parve di udire una voce umana. Tornò rapidamente indietro, gridando:
— Hai udito, Enrico?... —
Il marinaio, assorto nel suo dolore, parve che non lo avesse inteso.
— Ma non hai udito? — ripete il maltese, scuotendolo.
— Che cosa? — chiese il marinaio, alzando il capo.
— Una voce umana.
— Dove?
— Laggiù, — disse il maltese indicando la punta estrema dello scoglio.
— Lui, forse?...
— Taci! —
Fra i muggiti delle onde si era udito un grido. Pareva che un uomo invocasse aiuto.
Enrico era balzato in piedi.
— Sì! — esclamò. — Ho udito, Marino.
— Il signor Albani?
— Non lo so, ma accorriamo. —
Si lanciarono tutti e due innanzi, lasciandosi scivolare per le chine col pericolo di fiaccarsi il collo o di rompersi le gambe sulle scogliere sottostanti.
La voce si udiva sempre, ma ad intervalli e sembrava che fosse proprio quella del signor Albani. Pareva che provenisse dalla punta estrema dello scoglio, ma essendo quella parte assai dirupata ed interrotta da spaccature, da rocce che do-