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230 Capitolo trentaduesimo

Intanto l’uragano avanzava con estrema rapidità, ma questa volta veniva da oriente. Ormai tutte le stelle erano scomparse sotto fitte masse di vapori che il vento spingeva innanzi a sè, ed il mare s’alzava muggendo sordamente ai piedi dello scoglio. Se continuava, Piccolo Tonno non avrebbe certo osato affrontare da solo, su una zattera, quelle onde.

Alle quattro un po’ di luce cominciò ad apparire verso oriente, tingendo le onde di riflessi color dell’acciaio.

Albani, il genovese e Marino si alzarono in preda a una viva ansietà, fissando i loro sguardi verso l’isola. Parve a loro di distinguere, quasi subito, una macchia grigiastra che filava lungo i frangenti.

— È una vela! — esclamò il maltese. — Sono certo di non ingannarmi.

— Che quel bravo piccino si sia già messo in mare? — disse Enrico. — Ah! Come lo abbraccerei volentieri quel coraggioso ragazzo!

— Sì, è una vela, — confermò Albani, dopo un’attenta osservazione. — Ha di certo costruito una zattera e issato un albero.

— No, una zattera, — disse il maltese, che si era arrampicato sulla punta più alta del cono. — Vedo una macchia nera di forma allungata sotto quella vela.

— Tu hai le traveggole, camerata.

— No, marinaio, — rispose Marino. — Io ti dico che Piccolo Tonno corre in nostro aiuto con una scialuppa.

— Con una scialuppa! — esclamarono Albani ed Enrico.

— Sì!... Sì!... Ora la distinguo bene.

— Ma dove vuoi che abbia trovato una scialuppa? — chiese Enrico.

— Che sia la nostra? — si chiese il veneziano.

— È impossibile, signore!

— E perchè impossibile? Qualche corrente può averla trascinata verso la nostra isola e Piccolo Tonno può averla trovata arenata.