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Il naufragio della giunca 237

— Signor Albani! — esclamò, scuotendolo vigorosamente. — In piedi, Enrico, su, Piccolo Tonno. —

Il veneziano e i suoi compagni furono lesti ad alzarsi.

— Cosa succede? — chiese Albani.

— Si sparano delle cannonate sul mare, signore, — disse il marinaio.

— Delle cannonate!...

— Udite!... —

Un terzo sparo era echeggiato al largo, ripercuotendosi fra le rupi dell’isola.

— La giunca, forse? — si chiese Albani.

Abbandonarono precipitosamente la piccola grotta e si slanciarono verso la spiaggia, senza curarsi dell’acquazzone che li inzuppava.

Essendo i lampi diventati radi, l’oscurità era così profonda da non permettere di scorgere ciò che succedeva sul mare. Però in mezzo ai fischi del vento e ai muggiti delle onde, si udivano al largo echeggiare delle grida umane.

— Qualche nave minaccia di naufragare, — disse Albani. — L’uragano deve spingerla verso quest’isola.

— Ma non si vede, — risposero i tre marinai.

— Bisogna accendere un fuoco, per far comprendere a quei disgraziati che qui possono trovare dei soccorsi.

— Con questa pioggia!...

— Cercate di abbattere qualche pianta resinosa o gommifera. Ho scorto alcuni giunta-wan presso la grotta e bruceranno come paglie imbevute di resina. Avete qualche arme?

— Sì, — disse Piccolo Tonno. — Ho il mio coltello.

— Andate a tagliarli. —

In quell’istante sul tenebroso orizzonte si vide a balenare una fiamma e poco dopo s’udì echeggiare un colpo di cannone.

— Presto! — gridò Albani. — È una nave!... —

I tre marinai si slanciarono verso la grotta, tagliarono alcune bracciate di quelle grosse piante rampicanti sature di gomma e le trasportarono sulla spiaggia ammucchiandole sotto la sporgenza d’una roccia.