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I tagali 243

sue figlie, il giovanotto era il fidanzato della più giovane e si erano imbarcati su di una giunca cinese in rotta per le Molucche, onde visitare una possessione che il futuro genero possedeva a Ternate, essendo molucchese.

Presso le Sanghier un violento uragano aveva assalita la giunca la quale era stata respinta verso l’ovest, malgrado gli sforzi disperati dell’equipaggio composto di quindici uomini.

Appena avvenuto l’urto, malgrado i consigli del capitano chinese, si erano gettati in acqua e le onde li avevano respinti sopra la scogliera. Poco dopo la nave, sventrata dalle punte corallifere, scompariva con tutti coloro che la montavano.

— Abitavate a Manilla? — chiese Albani al vecchio.

— No, alle isole Calamine, — rispose il tagalo. — Ero capo d’un villaggio.

— Avete udito dal capitano chinese il nome di quest’isola?

— No, signore. Credo che il capitano ne ignorasse l’esistenza.

— Dunque voi non sapete quale terra sia questa.

— Suppongo che sia una delle Sulù, poichè dalle Sanghir siamo stati trascinati sempre verso nord-ovest.

— Lo credo anch’io, — disse il molucchese.

— Siete anche voi dei naufraghi? — chiese il vecchio.

— Sì, ma non inquietatevi per questo. Possediamo una casa, degli animali, dei viveri e un campo e non soffrirete la fame.

— Non possedete alcuna nave per abbandonare quest’isola?

— Una sola scialuppa, quella che avete veduto, la quale non può affrontare una lunga navigazione. Noi siamo come prigionieri su quest’isola, ma non ci lamentiamo, poichè col lavoro e colla perseveranza, ci siamo procurati tuttociò che è necessario all’esistenza umana.

— Ma noi?... — chiese il vecchio.

— Se vorrete, farete parte della nostra famiglia, della famiglia dei Robinson italiani, ma ad una condizione: che ci dobbiate obbedienza e che al pari di noi, lavoriate pel benessere di tutti.