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244 Capitolo trentaquattresimo

— Signore, — disse il vecchio capo, con voce commossa. — A voi dobbiamo la nostra esistenza, quindi disponete interamente di me, delle mie figlie e del mio futuro genero: noi, se lo vorrete, saremo vostri servi o come vostri schiavi.

— No, nè servi nè schiavi sulla terra dei Robinson italiani, — disse il veneziano. — Voi sarete nostri compagni, anzi fratelli, poichè come noi siete naufraghi e qui distinzioni non voglio che esistano. È vero, Enrico?... È vero, Piccolo Tonno e Marino?

— Sì, signore, siamo tutti eguali qui, — disse il genovese, — ma tutti noi riconosciamo in voi il capo, il governatore dell’isola.

— Ben detto! — esclamò il maltese.

— No, amici, — disse Albani.

— Sì, signore, — disse il marinaio. — Voi ci avete guidati, voi ci avete salvato dalla fame e dalle tribolazioni, voi, colla vostra sapienza e colla vostra abilità, ci avete data un’esistenza felice, è quindi giusto che noi tutti vi riconosciamo per nostro capo.

— Allora cercherò di mostrarmi degno della fiducia che riponete in me. Siamo tutti vigorosi, siamo tutti pronti a lavorare e cercheremo di trasformare quest’isola, pochi mesi fa deserta e selvaggia, in una colonia fiorente, degna della patria italiana.

— Viva il signor Albani! — urlarono il maltese, Enrico e Piccolo Tonno. — Viva il nostro capitano!... —

Intanto cominciava a spuntare l’alba e l’uragano andava calmandosi rapidamente. Il cielo si sgombrava, il vento, dopo d’aver urlato su tutti i toni, aveva ceduto e le onde si spianavano.

I Robinson decisero di esplorare un’ultima volta la scogliera per vedere se vi era qualche altro naufrago, o se potevano raccogliere qualche avanzo del carico della giunca che potesse tornare a loro utile, poi di partire per raggiungere la capanna aerea, avendo ormai quasi esaurito le provviste.