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I tagali 245

Albani e i due marinai attraversarono il braccio di mare e si recarono sulla scogliera, ma la loro gita fu inutile, poichè nulla rinvennero. Le onde avevano spazzato via i rottami della nave, e nessun naufrago fu trovato.

Essendo in quel frattempo spuntato il sole ed essendosi il mare calmato, deliberarono di partire senza perder tempo.

Non potendo però la scialuppa portarli tutti a causa della sua eccessiva immersione, il maltese, che aveva ormai una certa conoscenza dell’isola, fu incaricato di guidare i naufraghi verso le coste settentrionali, mentre Albani, Enrico e Piccolo Tonno s’incaricarono di ricondurre l’imbarcazione.

Questi diedero la cerbottana del mozzo, onde potessero difendersi in caso d’un attacco da parte delle tigri, poi spiegarono la vela prendendo rapidamente il largo.

Poco dopo anche il maltese ed i naufraghi della giunca si mettevano in cammino, seguendo la costa.

La Roma, spinta da un vento assai fresco che le permetteva di raggiungere una velocità di cinque nodi, si tenne a due miglia dalle spiagge per evitare le profonde insenature che l’isola descriveva e per evitare le scogliere che si stendevano in tutte le direzioni.

Se quella velocità non scemava, ai loro calcoli, potevano giungere nella piccola baia della costa settentrionale poco dopo il mezzodì.

— Come sono contento di rivedere la nostra capanna, — disse Enrico, che manovrava la vela in modo da farle raccogliere più vento che poteva. — Sarà inquieto quel bravo Sciancatello, non avendoci veduti ritornare.

— Se non glielo avessi impedito, mi avrebbe seguito, — disse il mozzo.

— Quale sorpresa pei tagali, quando vedranno i nostri animali, la nostra bella casa, il nostro campo e i nostri magazzini. Sono brave persone i tagali, signor Albani?

— Sono i più industriosi ed i più robusti di tutti le razze dell’isole della Sonda. Sono compagni preziosi che ci saranno di molto giovamento.