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42 Capitolo sesto

Si caricarono d’una parte degli oggetti ricavati dal rottame e riguadagnarono il gruppo di durion, presso cui contavano di accamparsi finchè non trovavano un posto migliore.

Dopo essersi un po’ riposati, scesero nuovamente la sponda e riportarono il resto.

Erano allora le quattro pomeridiane, a giudicarlo dall’altezza del sole. Essendo troppo stanchi per cominciare nuovi lavori, colla vela di gabbia che era molto grande e con pochi rami d’albero improvvisarono una comoda tenda, quindi fecero un’ampia raccolta di legna secca onde mantenere il fuoco acceso durante la notte, temendo qualche visita pericolosa da parte degli abitanti a quattro gambe della foresta. Fortunatamente avevano la possibilità di accendere quella legna, avendo il marinaio ritrovato in una delle sue tasche l’acciarino, la pietra focaia e l’esca, che conservava in una scatola metallica assieme alla pipa, diventata, ohimè, inutile ormai, mancando di tabacco.

Il pranzo fu molto magro quella sera, ma si accontentarono. La minuta era semplice, ma fortunatamente abbondante: granchiolini di mare arrostiti sui carboni, delle ostriche, delle frutta di durion e una sorsata d’acqua data da un’altra liana, che avevano scoperta a breve distanza dalla piantagione di bambù.

— A chi il primo quarto di guardia? — chiese Albani. — Non sarebbe prudente addormentarci tutti, non sapendo quali animali si nascondano nei boschi o quali uomini abitino quest’isola.

— Lo farò io, — disse il marinaio.

— Bada di non lasciar spegnere il fuoco.

— Non abbiate timore.

— E se scorgi qualche cosa di sospetto, chiamaci senza indugio.

— Dormite tranquilli. —

Il signor Emilio e il mozzo scivolarono sotto la tenda, mentre il marinaio si sdraiava presso il fuoco colla scure a portata di mano.