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I Robinson Italiani | 41 |
sava dolcemente formando una piccola cala, entro la quale avrebbe potuto trovare un comodo rifugio un piccolo bastimento, essendo difesa da una doppia linea di scogliere.
Denudatesi le gambe, trovandosi i banchi sabbiosi, che costeggiavano la sponda, sommersi, a causa dell’alta marea, si diressero verso la caverna marina, dinanzi alla quale trovarono ancora arenato il rottame.
Si misero tosto all’opera per ricavare tuttociò che poteva essere a loro necessario. Il legname era inutile, essendovene ad esuberanza nell’isola e preferendo adoperare i bambù i quali si prestano meglio di tutti alle costruzioni delle capanne; ma s’impadronirono delle funi, dei paterazzi e delle sartie, che potevano essere molto utili, quindi levarono tutte le ferramenta dei pennoni e specialmente le sbarre che servono d’appoggio ai gabbieri e poi le vele che erano tre, quella di gabbia, di pappafico e di contra-pappafico.
— Serviranno a fare delle amache e dei vestiti, — disse il veneziano. — La tela è ancora in buono stato.
— Ma ci mancano gli aghi, signore, — disse il mozzo.
— Troveremo il modo di fabbricarne.
— Di acciaio?...
— Non ho questa pretesa, ma certe ossa di pesci ci serviranno a meraviglia.
— Lo dite sul serio? — chiese Enrico.
— Certo, incredulo marinaio. Gli abitanti nordici, gli Esquimesi per esempio, credi che abbiano degli aghi d’acciaio?... No, si servono di ossa di pesci e noi li imiteremo.
— E il filo?...
— Lo avremo dalle vele, quantunque sia certo di trovare qui degli alberi che potrebbero procurarcelo. L’arenga saccharifera produce una sostanza cotonacea che i malesi adoperano come esca e che si potrebbe filare.
— Ma voi, signor Emilio, siete un uomo miracoloso. Sapreste procurarvi tutto anche in un’isola deserta.
— Sì, purchè abbia degli alberi, — rispose il veneziano, ridendo. — Orsù, torniamo alla sponda. —