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I Vicerè 123

legittimo; il suo Raimondo non era chiamato a figurare in mezzo alla società più eletta di una grande città? Giovani e ricchi, non sarebbero stati dovunque segno all’invidia di tutti?... Ed ella non aveva perseverato nei tentativi di resistenza anche per un’altra ragione, più grave. Raimondo, del quale ella perdonava, anzi neppure vedeva i modi un po’ bruschi, l’insofferenza della contraddizione, tutti i piccoli difetti di un figliuolo troppo vezzeggiato, si mostrava qual era anche col barone. Il carattere di questi essendo pure molto forte, un dissenso poteva sorgere da un momento all’altro. Sulle prime, il barone aveva fatto una vera festa al genero, trattandolo quasi come la principessa, sedotto anche lui dalla grazia fine del giovane, inorgoglito dalla fortuna di essersi imparentato coi Francalanza; ma Raimondo aveva risposto a tante prevenzioni zelanti, a tante cure affettuose mostrandosi malcontento di tutto, in quella casa, ripeteva ogni quarto d’ora: «Come si fa a vivere qui?...» Il barone aveva da lui la procura per amministrare le proprietà date alla figlia, e in questa amministrazione intendeva seguire i criterii e i sistemi antichi, dei quali sapeva la bontà; Raimondo invece, per occupar gli ozii di Milazzo, quando non passava le intere giornate giocando al casino con gli scapati presto conosciuti, si faceva render conto dal suocero dei suoi provvedimenti, per biasimarli, per suggerir quelli che, a suo giudizio, bisognava adottare. In questa materia, egli dimostrava un’assoluta ignoranza degli affari, una stravaganza di concetti molto simile a quella del fratello Ferdinando: il barone ne rideva, egli se l’aveva a male. Le parti s’invertivano quando il barone gli chiedeva conto dell’impiego dei capitali dotali: allora egli biasimava certe operazioni bislacche del genero, questi dichiarava al suocero che non ci capiva nulla. Spesso, in quei dibattiti, alle uscite vivaci di Raimondo il barone faceva un visibile sforzo per contenersi, per non dargli sulla voce; allora Matilde interveniva, mutava soggetto al discorso, componendo il lieve screzio