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I Vicerè 27

terrompevano, i primi arrivati dovevano cedere il posto, se ne andavano sotto il palco dell’orchestra eretto a addosso all’organo, con quattro ordini di panche e i manichi dei contrabbassi che spuntavano dal più alto, ma ancora vuoto; o giravano dalla parte opposta, verso la cappella della Beata Uzeda, tutta splendente di lampade votive; e si fermavano, una volta fuor della ressa, a guardarne l’altare scavato dove si vedeva, attraverso un vetro, la cassa antica rivestita di cuoio, che racchiudeva il corpo della santa donna; poi tentavano tornare verso il centro della chiesa per leggere le iscrizioni attaccate intorno agli altari, ma la folla era adesso compatta come un muro. Don Cono Canalà, data un’occhiata all’apparato, aveva tentato tre o quattro volte, per conto suo, d’avvicinarsi a qualcuno degli epitaffii, ma non era riuscito a spingersi tanto innanzi da leggerli; e col capo rovesciato, il cappello ammaccato dai continui urtoni, i piedi pestati, la camicia in sudore, tangheggiava come una barca in mezzo alla tempesta. Con belle maniere, dicendo: «Di grazia!... La prego!... Mi scusi!...» arrivò finalmente a tiro della prima tabella, dove leggevasi:


SOTTO   MULIEBRI   SPOGLIE

C U O R E   G A G L I A R D O   P I E T O S O

ANIMO   ELETTO   MUNIFICO

S P I R I T O   S V E G L I A T O   F E C O N D O

ONNINAMENTE   DEGNA

DELLA   MAGNANIMA   STIRPE

CHE   LA   FÉ   SUA.


― Onninamente?.... ― disse il barone Carcaretta che si trovava a fianco di don Cono. ― Che cosa significa?

― Importa interamente, o vogliam dire del tutto.... Onninamente degna della stirpe.... Come le piace questo concetto?...

― Eh, va bene; ma non capisco perchè si divertano a pescar le parole difficili!