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I Vicerè 295

pallidissimo, si vedeva sotto le sue guance il movimento delle mascelle nervosamente contratte.

— Raimondo, — esclamò il deputato disinvolto, e conciliante; — c’è qui tuo suocero....

Il conte s’era fermato. Senza cavar le mani di tasca fece col capo un breve gesto di saluto e disse:

— Come sta?

Palmi rispose:

— Bene; stai bene? — E salutò in giro gli astanti.

Nessuno fiatava, gli sguardi si volgevano tutti sul barone. Anche le mani gli tremavano un poco, e non guardava in viso il genero.

— Accomodatevi, don Gaetano! — riprese il duca, prendendolo pel braccio e facendogli amichevole violenza. Palmi allora sedette tra la principessa e la marchesa; donna Ferdinanda s’impettì, affondando il mento nel collo come un gallinaccio.

— Matilde sta bene? — domandò la principessa.

— Bene, grazie.

— Le bambine?

— Benissimo.

Raimondo, ritto in mezzo alla sala, si guardava le unghie, facendo scattare quella del pollice contro tutte le altre. Il duca tossicchiò un poco, come per un principio di raucedine; poi gli domandò:

— Tu quando raggiungeresti tua moglie?

Egli rispose secco e breve:

— Anche domani.

— Matilde però la vogliamo un poco qui, — soggiunse lo zio, guardando gli altri parenti, quasi a chiedere il loro assenso; ma nessuno disse nulla. — Allora, — continuò, — potreste fare così: tu andrai a prenderla e poi ve ne verrete tutti insieme. Che ne dite, barone?

— Come credete, — rispose Palmi.

A un tratto s’udì per la terza volta una carrozza che entrava nel cortile e tutti gli occhi si volsero verso