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I Vicerè 315


Allora, per farle piacere, non importandole il broncio della zia, egli diradò gli inviti; ma quando credeva di mettersi a tavola solo con sua moglie, vedeva spuntare la zitellona, che Lucrezia aveva chiamata. Mutava facilmente opinione, Lucrezia, da un momento all’altro; e tutti la secondavano, non solo suo marito, ma anche il suocero e la suocera: la covavano con gli occhi come una cosa preziosa, la contentavano a un cenno, la servivano all’occorrenza. Così ella si alzava ogni giorno un poco più tardi, restava un paio d’ore senza far nulla, senza neppure lavarsi; vestita finalmente, se ne andava talvolta dalla sorella Chiara, che non era ancora partorita, avendo sbagliato i conti d’un mese; ma più spesso al palazzo, dove aveva giurato di non metter più piede, ma restava invece tanto che spesso suo marito doveva passare a prenderla, all’ora del desinare. Ci tornava anche la sera per prender parte alla solita conversazione; talchè, tutto sommato, e tolte le ore del sonno, ella stava più nella casa paterna che nella maritale. I Giulente, del resto, giudicavano naturale che ella cercasse dei suoi parenti, nè Benedetto pensava a rammentarle gli antichi propositi; quando, un bel giorno, offertole come al solito di accompagnarla al palazzo, si udì rispondere:

— M’hanno da tagliare tutt’e due le mani, se vado più in quella casa!

— Che è stato? Che t’hanno fatto?.."

— Che m’hanno fatto? Leggi!"

Il principe aveva ritardato di settimana in settimana il pagamento delle ultime tremila onze; adesso finalmente mandava, per mezzo del signor Marco, in piego suggellato diretto a Benedetto, un nuovo conto. Lucrezia l’aveva aperto; c’era un passivo, dove figuravano le spese della festa di nozze: un totale di centoventicinque onze. Notati gli spumoni, i dolci, i pacchi di candele, l’olio delle lampade Carcel; ad ogni persona di servizio un’onza di regalo; dieci onze di fiori, dodici tarì di carrozze pagate a Baldassarre e persino quindici tarì di piatti