Pagina:I Vicerè.djvu/51

Da Wikisource.

I Vicerè 49

― Io credo che i Giulente sono nobili ― disse Lucrezia, prima che la zia finisse e senza alzare gli occhi.

― Io credo invece che sono ignobili ― ribattè secco donna Ferdinanda. ― Se possedevano documenti da far valere, avrebbero ottenuto l’approvazione reale.

― Nobili di Siracusa.... ― cominciò don Mariano.

― O Siracusa o Caropepe, se avevano i titoli non gli avrebbero negata l’iscrizione nel Libro rosso!

― Il Libro rosso è chiuso dal 1813 ― annunziò don Eugenio col tono di chi dà una notizia grave.

Lucrezia era rimasta a capo chino, guardando per terra. Quando la zia potè credere d’averla ridotta al silenzio, la ragazza riprese:

― I Giulente sono nobili di toga.

Un risolino fine fine della zitellona le rispose:

― Gli asini credono che la nobiltà di toga sia paragonabile a quella di spada!... Che differenza passava tra i sei giudici del Real Patrimonio, don Mariano? I tre di cappacorta erano nobili... ― nobili! ― e i tre di cappalunga, giurisperiti.... GIURISPERITI!.... Adesso sapete com’è?.... Tutti i mastri notai si credono altrettanti principi!.... Un tempo c’erano i baroni da dieci scudi, oggi ci sono quelli da dieci baiocchi....

Allora la ragazza s’alzò e andò via. Donna Ferdinanda continuava a sorridere finemente, guardando la contessa Matilde.


Frattanto il signor Marco faceva disporre ogni cosa nella Galleria dei ritratti per la lettura del testamento. Il principe era stato un poco esitante sulla scelta del luogo dove compiere la cerimonia: la Sala Rossa, discretamente addobbata, capiva poca gente: il Salone dei lampadari, vastissimo, non aveva altri mobili fuorchè le lampade antiche pendenti dalla volta e gli specchi incastrati nelle pareti; la Galleria, invece, conciliava la grandezza con la sontuosità, perchè era vasta come due saloni messi in fila, e arredata di divani e sgabelli e

    I Vicerè ― 4