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I Vicerè 561


Tre mesi dopo, la duchessa venne a presentare il duca in casa della fidanzata. Già Consalvo era arrivato al palazzo, e Teresa, presolo per mano, lo aveva guidato nella camera del padre.

— Babbo, — gli aveva detto, — c’è qui suo figlio che viene a baciarle la mano.

Il principe, tenendo la sinistra in tasca, gli porse la destra a baciare, e alla domanda del figliuolo: «Come sta Vostra Eccellenza?» — «Benissimo,» rispose, calcando un poco la voce, e senza domandargli: «E tu?» Non avevano ancora barattate quattro parole, che la carrozza di donna Ferdinanda entrò con gran fracasso nel cortile. La principessa baciò la mano alla vecchia, e abbracciò la cognata Lucrezia, la quale portava un abito elegantissimo: seta color d’albicocca con guarnizioni pistacchio. Ella avea fatto sapere a tutti che la lite col fratello s’avviava ad un amichevole componimento e che le bisognava adesso dare molte commissioni alla sarta per lo sposalizio di «mia nipote la principessina con mio nipote il duca.» Era piena di debiti, con la sarta, con la modista, il gioielliere: imbrogliava sempre più l’amministrazione del marito, ma la sua parte nell’eredità di don Blasco avrebbe appianato ogni cosa.

Tutti gli altri parenti sopraggiunsero: il duca d’Oragua, Giulente, il marchese senza la moglie, la quale non voleva più venire dal Belvedere, dove il bastardello, cresciuto negli anni e rovinato dall’educazione di lei, la picchiava di santa ragione. Il principe, salutando i parenti, guardava con la coda dell’occhio Consalvo e non cavava di tasca la mano sinistra. Arrivò finalmente il promesso con la madre. Il duca, vestito quasi elegantemente, non faceva poi un troppo brutto vedere, ed aveva l’aria contentissima. Sua madre gli aveva spiegato che Teresa era innamorata di lui, e che i bronci di Giovannino derivavano dall’idea che questi s’era fitto in capo di sposar la cugina, mentre nè la ragazza, nè

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