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I Vicerè 57

amatissimi, passo all’assegnazione delle seguenti elemosine e legati pii da pagarsi dai miei eredi summentovati, e cioè:

«A Monsignor Reverendissimo il vescovo Patti, onze cinquecento, una volta tanto, perchè le distribuisca ai poveri della città o perchè ne faccia celebrare altrettante messe a sacerdoti bisognosi della diocesi, secondo stimerà conveniente nella sua alta prudenza....» Monsignore si mise a scrollare il capo, a dimostrazione di gratitudine, di ammirazione, di rimpianto e di modestia ad un tempo; ma soprattutto d’ammirazione secondo che il giudice leggeva le pietose disposizioni dei paragrafi seguenti: «Alla cappella della Beata Ximena Uzeda, nella chiesa dei Cappuccini in Catania, onze cinquanta annuali, per una lampada perpetua ed una messa ebdomadaria da celebrarsi pel riposo dell’anima mia. Alla chiesa dei Padri Domenicani in Catania, onze venti annue per elemosina e celebrazione di altra messa ebdomadaria come sopra. Alla chiesa di Santa Maria delle Grazie in Paternò onze venti come sopra. Ed alla chiesa del monastero di Santa Maria del Santo Lume al Belvedere, onze venti come sopra.

«Spetterà inoltre ai miei eredi osservare l’istituzione dei seguenti legati, in favore dei creati che mi hanno fedelmente servita ed assistita durante il corso delle mie infermità, e cioè:

«Eccettuo innanzi tutto il mio amministratore e procuratore generale signor Marco Roscitano, i cui eccellenti servigi non potendo essere paragonati a quelli d’un servo, non sono da compensare con moneta.» Il signor Marco era diventato rosso come un pomodoro: o per le lusinghiere parole, o perchè non gli toccava altro che parole. «Lascio a lui pertanto gli oggetti d’oro, le tabacchiere, spille ed orologi pervenutimi dall’eredità di mio zio materno il cavaliere Risà, il cui elenco si troverà fra le mie carte; e faccio obbligo di coscienza ai miei eredi di continuare ad avvalersi dell’opera sua, non potendo essi trovare persona che meglio di lui conosca lo stato