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I Vicerè 597

materia inerte da ridurre alla forma prestabilita, il chirurgo tagliava ancora, recideva, raschiava; lasciava uno strumento e ne pigliava un altro, poi riprendeva il primo, calmo, freddo, attentissimo. Ed un incidente prolungò l’attesa, ritardò l’operazione. Una goccia del putrido sangue cadde sulla mano scalfita dell’assistente; perchè quell’uomo non fosse avvelenato accesero il termocauterio, il platino rovente fu passato sulla sua mano; s’udì il frizzo della carne bruciata, l’aria divenne mefitica.

Dopo un’ora, tutto finì. Lavate le macchie, fasciata la piaga, riposti gli strumenti nelle custodie, il principe fu destato. Il primo sguardo del padre, cieco ancora, ancora morto, accrebbe il terrore di Teresa. Nondimeno, ella attese il ritorno della vita; disse al padre, sorridendogli, stringendogli la mano:

— È fatto... tutto è andato benissimo... Non è vero, dottore?...

Ma ad un tratto ogni forza l’abbandonò. Suo marito, entrato con la principessa e gli altri parenti, la portò via, in una sala lontana. Il dottore venne a dire, con tono d’autorità:

— Volete sì o no andarvene a casa, adesso?... Andate a riposarvi: qui non c’è più nulla da fare...

Non ebbe la forza di rientrare neppure un istante nella camera dell’infermo; volle però che Michele restasse, per recargliene più tardi le nuove. Scese le scale barcollando, appoggiata al braccio del dottore, e si lasciò cadere sul sedile della carrozza. E mentre i cavalli correvano, e l’aria smossa le vivificava il petto, anche lo spirito liberavasi finalmente dalla lunga oppressione. Ella pensava: «Quanti dolori! quante miserie!» Che valevano al padre le ricchezze, l’impero ai quali aveva tanto tenuto? Non avrebbe dato tutto per la salute?... Ed era condannato! Quell’operazione era quasi inutile: l’ascesso sarebbe riapparso altrove... E contro quella povera vita ròsa dal male, un giorno, un momento, in cuor suo — non a parole, Signore, col solo pensiero;