Pagina:I promessi sposi (1825) I.djvu/226

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chiama quei della ficaia, entra con loro nella stanza terrena dove il mattino aveva scelleratamente accattato quel tozzo di pane. Cava fuori esca, pietra focaia, acciarino e zolfanelli, accende un suo lanternino, mette piede nell’altra stanza più interna, per accertarsi che nessuno vi sia: non c’è nessuno. Ritorna, va all’uscio della scala, guarda, porge orecchi: solitudine e silenzio. Lascia due altre sentinelle al terreno, si fa venir dietro il Grignapoco, un bravo del contado di Bergamo, che solo doveva minacciare, acchetare, comandare, essere in somma il dicitore, affinchè la sua loquela potesse far credere ad Agnese che la spedizione veniva da quella parte. Con costui al fianco, e gli altri dietro, il Griso sale adagio adagio, bestemmiando in cuor suo ogni scalino che scricchiolasse, ogni pedata di que’ mascalzoni che facesse romore. Finalmente è in cima. Qui giace la lepre. Spinge mollemente la porta che mette alla prima stanza, l’imposta cede, si fa spiraglio: vi mette l’occhio; è scuro: vi mette l’orecchio, per sentire se qualcheduno russa, fiata, brulica là entro; niente. Dunque avanti: ponsi la lanterna dinanzi al muso, per vedere senza esser veduto, spalanca la porta, scorge un letto; addosso: il letto è fatto e spianato, colla