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amorevolezza timida e premurosa: “via, via non vi alterate, per amor del cielo. Vedrò, cercherò se in una settimana ...”

“E a Lucia che debbo dire?”

“Che è stato un mio sbaglio.”

“E i discorsi del mondo?”

“Dite pure che son io che ho fatto un marrone, per la troppa pressa, per troppo cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana.”

“E poi, non ci sarà più altri impedimenti?”

“Quando vi dico ....”

“Ebbene: starò cheto per una settimana; ma ritenga bene che, passata questa, non mi appagherò più di chiacchiere. Intanto la riverisco.” E così detto, se ne andò, facendo a don Abbondio un inchino meno profondo del solito, e lanciandogli un’occhiata più espressiva che riverente.

Uscito poi nella strada, e camminando a malincuore verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio, e sempre più lo trovava strano. L’accoglienza fredda e impacciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato insieme ed impaziente, quei due occhi grigi che, mentre egli parlava, erano sempre andati scappando qua e là, come se avessero paura d’incontrarsi

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