Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/114

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a guardarsi intorno, per iscegliere l’uomo a cui fare la sua domanda, una faccia che inspirasse fiducia. Ma anche qui v’era dell’intrigo. La domanda per sè era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena sgabellati da quel picciolo intoppo, dovevano senza dubbio essersi rimessi in traccia del loro fuggitivo: la voce di quella fuga poteva esser giunta fin là: e in tanta pressa, Renzo dovette forse fare dieci giudizii fisionomici, prima di trovar la figura che gli paresse a proposito. Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua bottega, con le gambe larghe, e le mani dietro la schiena, colla pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran giogaia, e che per ozio andava alternativamente sollevando su la punta dei piedi la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere sulle calcagna, aveva una cera di cicalone curioso, che invece di risposte avrebbe date interrogazioni. Quell’altro che veniva innanzi con gli occhi fissi e col labbro spenzolato, non che insegnare presto e bene la via altrui, appena pareva conoscer la sua. Quel ragazzotto, che a dir vero mostrava d’essere svegliato assai, mostrava però d’essere anche più malizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto ad inviare un povero forese dalla parte