Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/32

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diabolica, colle mani levate al disopra d’una canizie vituperosa, agitava nell’aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di voler egli configgere il vicario alle imposte della sua porta, spirato che fosse.

“Oibò! vergogna!” scappò su Renzo, inorridito a quelle parole, alla vista di tanti altri volti che davan segno di gustarle assai, e incoraggiato dal vederne pur altri, sui quali, benchè muti, traspariva lo stesso orrore di che egli era compreso. “Vergogna! Vogliam noi tor l’arte al boia? assassinare un cristiano! Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste iniquità? Ci manderà dei fulmini, e non del pane!”

“Ah cane! ah traditor della patria!” gridò, voltandosi a Renzo con un viso da indemoniato, un di coloro che avean potuto udire fra il trambusto quelle sante parole. “Aspetta, aspetta! È un servitore del vicario, travestito da forese: è una spia: dalli, dalli!” Cento voci si spargono all’intorno. “Che è? dov’è? chi è? — Un servitore del vicario — Una spia — Il vicario travestito da forese, che scappa — Dov’è? dov’è? dalli? dalli!”

Renzo ammutolisce, diventa piccin piccino, vorrebbe sparire; alcuni suoi vicini lo aiutano a rimpiattarsi, e con alte e diverse grida