Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/52

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“ohe! ohe!” senz’aggiunta di altre cerimonie, alla gente, ormai rada abbastanza per potere essere trattata a quel modo, e sferzando i cavalli, fe’ loro prender la corsa verso il castello.

“Levantese, levantese; estàmos afuera,” disse Ferrer al vicario: il quale, rassicurato dal cessar dalle grida, e dal rapido moto del cocchio, e da quelle parole, si svolse, si sgruppò, si alzò; e riavutosi alquanto, cominciò a render grazie, grazie e grazie al suo liberatore. Questi, dopo essersi condoluto con lui del pericolo, e rallegrato della salvezza; “ah!” sclamò, facendo scorrere la palma sul suo cocuzzolo calvo, que dirà de esto su excelencia, che ha già tanto le lune a rovescio per quel maledetto Casale, che non vuole arrendersi? Que dira el conde duque, che s’adombra se una foglia fa più strepito del solito? Que dirà el rey nuestro señor, che pur qualche cosa bisognerà che venga a risapere d’un così gran fracasso? E sarà poi finito? Dios, lo sabe.”

“Ah! per me, non voglio più impacciarmene,” diceva il vicario: “me ne lavo le mani; rassegno il mio posto nelle mani di vostra eccellenza, e vado a vivere in una grotta, su una montagna, a far l’eremita, lontano lontano da questa gente bestiale.”