Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/419

Da Wikisource.

413

cosa. Allora capì che le parole fanno un effetto nelle bocche, e un altro nelle orecchie; e prese un po’ più d’abitudine di ascoltar di dentro le sue, prima di proferirle.

Non vi deste però ad intendere che non vi fosse qualche fastidiuccio anche qui. L’uomo, (dice il nostro anonimo: e già sapete per prova ch’egli aveva un gusto un po’ strano in lato di similitudini; ma comportategli anche questa, che avrebbe a esser l’ultima) l’uomo, fin che sta a questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sè altri letti, ben assettati al di fuori, piani, a livello; e si figura che debba essere un giacervi soave. Ma se riesce a cambiare; appena s’è allogato nel nuovo, comincia, premendo, a sentire, qui uno stecco che punta in su, lì una durezza: siamo in somma, a un di presso alla storia di prima. E per questo, soggiugne egli, dovremmo pensare più a far bene che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. La è tirata un po’ cogli argani, e proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altro, continua egli ancora, dolori e impigli della qualità e della forza di quelli che abbiamo narrati, pon ve n’ebbe più per la nostra buona gente: fu da quel punto in poi una vita delle più pla-