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118 I ricordi del Capitano D'Arce

fatto fare apposta un vestito elegantissimo, e aveva combinato una carrozzata allegra, nella quale ero invitato io pure. — La Maio, no! — mi disse sfavillante. Tutto quel chiasso e quel movimento l’eccitavano assai.

Tornò stanchissima e si mise a letto per due o tre giorni. Dopo si strascinò ancora un pezzo fra letto e lettuccio. La tristezza delle giornate autunnali la pigliava lentamente. Se non mi vedeva all’ora solita, mi teneva il broncio, quasi avessi mancato a una tacita promessa. Faceva spesso dei progetti per l’avvenire; s’illudeva più facilmente, ora che le fuggiva la terra sotto i piedi, e che non aveva più la forza di strascinarsi sino al canapè. Così tenacemente s’attaccava al mio braccio, che le parlavo anch’io di Sorrento e di Nizza, col cuore stretto. Ella diceva di sì, di sì, tutta contenta, tornando ad affermare col capo, tornando a sorridere come una bambina.

Consultava insieme a me delle guide e dei giornali di mode, e aveva fissato l’epoca del viaggio: — Dopo il carnevale, appena tornerà la primavera. Tornerò a rifiorire anch’io, vedrete! Tutti v’invidieranno la vostra bella amica.... Amica, veh!

Aveva ordinato degli abiti da ballo per quell’inverno.