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lauda lxii | 141 |
— Quilli che son coniugati — non siron da star coi frati,
siron da te allecerati, — averògl so mio guidato.
— Ed io te vogl far afflitto. — Uno ordine agio elitto:
penitenti, orden deritto, — en matrimonio dirizato.
— Or non me toccar la resía, — che è contra la tua via:
questo non comportaría, — troppo ne siría turbato.
— Farne voglio inquisizione — a destruger tua magione,
metteraiolo en pregione — chi ne troverò toccato.
— Oimè lasso, me tapino, — ché me s’è rotto l’oncino,
haime messo en canna un frino — che me fa molto arafrenato,
O Francesco, co m’hai strutto! — el mondo te arprendi
tutto, ed haime messo en tal corrotto, — che m’hai morto e subissato.
Non voglio piú suffrire, — per anticristo voglio gire;
e vogliolo far venire, — ché tanto è profetizato.
— Con lui te darò el tratto, — el mondo t’artorrò affatto,
enfra li tuoi troverò patto — che i vestirò del mio vergato.
— La profezia non me talenta, — a la fin sí me sgomenta,
che te de’ armaner la venta, — alora siraio enabissato. —
La battaglia dura e forte, — molti siròn feriti a morte,
chi vincerá averá le scorte, — e d’onne ben sirá ditato.