Pagina:Iacopone da Todi – Le Laude, 1915 – BEIC 1853668.djvu/226

Da Wikisource.
220 lauda xci


     En mezo de sto mare — essendo sí abissato,
giá non ce trova lato — onde ne possa uscire.
De sé non può pensare — né dir como è formato,
però che, trasformato, — altro sí ha vestire.
Tutto lo suo sentire — en ben sí va notando,
belleza contemplando — la qual non ha colore.
     De tutto prende sorte, — tanto ha per unione
de trasformazione, — che dice: — Tutto è mio. —
Aperte son le porte — fatta ha coniunzione,
ed è en possessione — de tutto quel de Dio.
Sente que non sentío, — que non cognove vede,
possede que non crede, — gusta senza sapere.
     Però c’ha sé perduto — tutto senza misura,
possede quel’altura — de summa smesuranza.
Perché non ha tenuto — en sé altra mistura,
quel ben senza figura — receve en abondanza.
Questa è tal trasformanza, — perdendo e possedendo,
giá non andar chirendo — trovarne parladore.
     Perder sempre e tenere, — amare e delettare,
mirare e contemplare, — questo reman en atto.
Per certo possedere — ed en quel ben notare,
en esso reposare — ove se vede tratto.
Questo è un tal baratto, — atto de caritate,
lume de veritate — che remane en vigore.
     Altro atto non ci ha loco, — lá su giá non s’apressa,
quel ch’era sí se cessa — en mente che cercava.
Calor, amor de fuoco, — né pena non c’è admessa,
tal luce non è essa — qual prima se pensava.
Quel con que procacciava — bisogno è che lo lassi,
a cose nòve passi — sopr’onne suo sentore.
     Luce gli pare oscura — qual prima resplendea,
que virtute credea, — retrova gran defetto.
Giá non può dar figura — como emprima facea,
quando parlar solea — cercar per entelletto.
En quello ben perfetto — non c’è tal simiglianza,
qual prese per certanza — e non è possessore.