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molte altre pazzie, anche quella di affettare il piú profondo disprezzo per la propria cultura e dottrina. Ora non è chi non veda il ridicolo di tale affermazione. Iacopone da Todi aveva fatto i suoi studi di diritto, forse a Bologna; aveva esercitato per lunghi anni la professione di avvocato nella sua cittá natia; aveva fors’anco dettato componimenti in rima prima di darsi a vita spirituale, ed è lecito supporre che non gli fosse ignota la bella fioritura della poesia lirica del suo tempo, i cui spunti e le cui immagini sin troppo profane ricorrono con molta insistenza nelle sue laudi-ballate.

Per quanto profondo fosse l’orrore e il disprezzo degli anni trascorsi nelle vanitá del mondo, come avrebb’egli potuto far getto della propria coltura, di quel patrimonio intellettuale, caro sopra ogni altro perché frutto in ciascuno di inenarrabili fatiche, senza sentirsi miseramente inaridire quella ricca vena poetica, onde, come altrettanti ruscelli, scaturivano i suoi sacri ritmi, schiumeggianti e torbidi talvolta per l’impeto della discesa, ma sempre meravigliosi di vita e di freschezza? Iacopone parlava e componeva nel suo nativo dialetto così come solevano le persone della sua coltura. E non sarebbe giusto rifiutare inesorabilmente come alterazioni illegittime di amanuensi e di editori tutto ciò (e non è gran cosa) che nel testo dell’edizione fiorentina del 1490 sembra discostarsi dalle particolari caratteristiche del dialetto tudertino»1.

Una delle questioni piú difficili e piú lungamente dibattute tra gli studiosi è quella che concerne l’autenticitá dei ritmi attribuiti a Iacopone. Le raccolte primitive dovevano contenere appena una novantina di laude, quante cioè ne contengono i codici del secolo xiv. Ma per la pronta diffusione che le poesie del Nostro ebbero nell’Umbria, nella Toscana e nell’Italia settentrionale (diffusione dovuta, oltre che al merito intrinseco dell’opera iacoponica, anche alla fiera discordia fervente nel seno stesso dell’ordine francescano tra i vari partiti, per alcuno dei quali il nome di Iacopone potè servire quasi di segnacolo in vessillo, e alla aureola di martirio che la leggenda non tardò a creare intorno all’austera figura del poeta tuderte), il primitivo corpo laudistico iacoponico andò a mano a mano aumentando, fino a raggiungere e a sorpassare nel secolo xvii il numero di duecento composizioni.

  1. Cfr. la mia prefazione alla ristampa della Societá filologica romana.